IL PROGETTO KRAUS
Einaudi, 2014
«La vera rabbia, la rabbia come stile di vita, mi rimase estranea fino a un pomeriggio di aprile del 1982». Jonathan Franzen aveva ventidue anni, si trovava in Germania con una borsa di studio ed era diretto a Berlino, dove avrebbe seguito un corso su Karl Kraus. Leggere i saggi dello scrittore viennese, per il giovane Franzen, fu come scoprire un’altra lingua straniera celata all’interno del tedesco. Tra il 1899 e il 1936, attraverso la rivista «Die Fackel», Karl Kraus si era imposto nel mondo culturale germanofono come il Grande Odiatore, censore della banalità e della manipolazione, fustigatore del giornalismo dozzinale. Ammirato da Benjamin e Kafka, oscuro e criptico, Kraus era nondimeno un profeta lungimirante, e in questo libro Franzen mette in evidenza tutta l’attualità del suo pensiero. Il principale obiettivo polemico di Kraus era la macchina infernale dei giornali, «il disonesto abbinamento degli ideali illuministi con l’incessante e ingegnosa ricerca di profitto e potere». In modo simile, nota Franzen, nel consumismo tecnologico di oggi, in internet e nei social media, trionfa una retorica umanistica fatta di «creatività», «libertà», «connessione», «democrazia» che crea dipendenza e asseconda i peggiori istinti delle persone (molto di piú di quanto non abbiano mai fatto i giornali). Rivisitando la propria passione giovanile, Franzen ne prende in una certa misura le distanze. In fondo Kraus non ha mai praticato l’arte del romanzo, e quindi il lavoro mentale che il romanzo presuppone: quello di immaginarsi nei panni degli altri. Un esercizio incompatibile con «la rabbia come stile di vita». Resta tuttavia una «fastidiosa sensazione»: e se gli allarmi apocalittici di Kraus cogliessero nel segno? «Nel mio piccolo angolo di mondo, quello della narrativa americana, Jeff Bezos di Amazon non sarà forse l’Anticristo, ma sicuramente ricorda uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse».