La Biblioteca Comunale degli Ardenti

 

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La storia della Biblioteca degli Ardenti è racchiusa in tre date: il 1810 (l’anno di fondazione), il 1944 (l’anno dei bombardamento) ed il 1973 (l’anno di costituzione del Consorzio Biblioteche). Questi tre periodi rappresentano la nascita, la disgrazia e l’inizio di una nuova fase come biblioteca e collezione libraria inserita in un sistema consorziale.

Notizie di biblioteche pubbliche a Viterbo non si hanno fino a quasi tutto il Settecento, come scrive ATTILIO CAROSI nel suo articolo “La Biblioteca Consorziale di Viterbo” (in «Biblioteca e Società», anno I, n. 1). Ricche di codici e libri erano le biblioteche del Capitolo della Cattedrale, degli Agostiniani della Trinità, dei Domenicani di Santa Maria in Gradi, dei Minori Osservanti del Paradiso, del Seminario di Santa Maria della Quercia, dei Frati Minori Cappuccini di San Paolo. Erano però biblioteche riservate ai padri conventuali ed a pochi altri “raccomandati”. Non esistevano neppure biblioteche private degne di questo nome: si trattava per lo più di piccole raccolte di un certo valore che venivano quasi sempre disperse con la morte del proprietario.

Il più antico riferimento che conosciamo circa l’intenzione di aprire a Viterbo una pubblica biblioteca è contenuto nel Libro delle Riforme (voi. 151 – Anno 1781). Il canonico Nicola Landucci, Segretario dell’Accademia degli Ardenti e Rettore del Seminario viterbese, possedeva, nella seconda metà del Settecento, una ricca biblioteca privata.Un “colpo apoplettico” (oggi si direbbe ictus) lo ridusse in fin di vita nel 1781. Convinto di dover morire di lì a poco, fece testamento lasciando in eredità al Comune di Viterbo tutti i suoi libri “per uso pubblico e per facilitare l’acquisto delle scienze … [da parte degli] amatori dellemedesime” (Riforme, volume citato). Il nostro canonico, per sua fortuna, vinse il male, si riprese e, dopo lo scampato pericolo, ritenne opportuno modificare leggermente il testamento: invece che donare i volumi, pensò di cederli in cambio di un modesto vitalizio di 20 franchi al mese. L’offerta fu respinta dagli amministratori del Comune di Viterbo. Per GIUSEPPE CAMPOSAMPIERO, autore di un articolo sulla Biblioteca Comunale di Viterbo (in Accademie e Biblioteche d’italia, 1941) il diniego delle autorità cittadine fu dovuto, in larga parte, allo spirito di casta assai vivo nel patriziato dell’epoca.

L’istituzione di una pubblica biblioteca era ritenuta un favore inutile, se non addirittura dannoso, per il popoio e la borghesia: meglio far rimanere tutti nell’ignoranza e nell’analfabetismo. A nostro avviso la decisione degli amministratori fu influenzata, anche e soprattutto, dalla richiesta del vitalizio: la situazione finanziaria del Comune, anche allora, non era delle più fonde. Diversa sarebbe stata la decisione se i volumi fossero arrivati gratis. Per la cronaca, il canonico si accordò con il Capitolo del Duomo ed i suoi libri andarono ad aggiungersi a quelli di Latino Latini in cambio del modesto vitalizio. Il Landucci morì nel 1873: a conti fatti gli amministratori comunali, per risparmiare 480 franchi, si fecero sfuggire una raccolta libraria che valeva dieci volte tanto.

Per trovare nuovamente notizie su una biblioteca a Viterbo bisogna arrivare al 1810, quando il Prefetto del Dipartimento del Tevere, barone Camillo de Tournon, propose di iscrivere nel bilancio comunale la somma di 500 franchi (in seguito raddoppiata) a favore dell’Accademia degli Ardenti affinché curasse l’apertura di una biblioteca pubblica. L’Accademia, infatti, dopo un periodo di scarsa attività dovuto al susseguirsi degli avvenimenti legati alla Rivoluzione Francese, era tornata a nuova vita grazie all’attivismo dei suoi membri, illustri studiosi, e grazie anche e soprattutto al mecenatismo delle autorità francesi. Gli Accademici, nella riunione del 3 maggio 1810 (è questa, a nostro avviso, la data di nascita della biblioteca; per gli amanti dell’astrologia potremmo anche azzardare l’ora: le dodici) accettarono la proposta e nominarono come bibliotecario, anche se l’atto formale verrà deliberato due anni dopo, il canonico don Luigi Zelli Jacobuzzi (che possiamo a ragione considerare il primo bibliotecario della storia della biblioteca pubblica di Viterbo).

Il suo primo provvedimento fu quello di richiedere, alle autorità competenti, di unificare tutte le librerie dei soppressi conventi della città, per formare una sola biblioteca da aggregare a quella dell’Accademia degli Ardenti. Per i locali fu scelto l’antico Teatro dei Nobili, sito nel Palazzo Comunale, per il cui restauro furono stanziati 2.000 franchi. Il compenso del bibliotecario fu fissato in 600 franchi.

Zelli Jacobuzzi, in collaborazione con l’abate Pietro de La Tour Fontanet e due famigli (oggi si direbbe uscieri), si mise subito al lavoro compilando un elenco di tutti i volumi: erano circa 7.000, quasi tutti di argomento religioso. L’avvento della Restaurazione troncò a metà progetti e lavori: soprattutto non furono completate la collocazione e la catalogazione dei volumi. Contribuirono all’insuccesso le lungaggini burocratiche, il ritardo nella consegna dei libri, il disordine in cui si trovavano. L’ultimo segnale di vita della biblioteca pubblica del periodo napoleonico è una lamentela di Zelli Jacobuzzi perché nel 1814 alcune opere di valore della biblioteca dei Padri Agostiniani della Trinità ancora non erano state consegnate. Un anno dopo la biblioteca pubblica fu smantellata ed i libri provenienti dai conventi soppressi furono restituiti agli originari proprietari. I pochi libri rimasti costituirono la biblioteca ad uso e consumo dei membri dell’Accademia degli Ardenti e di quei pochi studiosi autorizzati a frequentarla. Questa biblioteca continuò a funzionare, con alterne vicende, fino al 1869: era aperta due giorni a settimana, il lunedì ed il giovedì, dalle 9 alle 12. Il nucleo iniziale dei 7.000 volumi ricomparirà, anche se non più nella consistenza originaria, come parte cospicua del fondo con cui, settant’anni dopo la chiusura, riprenderà vita la Biblioteca pubblica.

Con l’occupazione di Roma da parte delle truppe italiane (20 settembre 1870) e l’unione del Lazio al resto d’Italia, vennero soppresse le corporazioni religiose che, per legge, furono costrette a cedere le loro biblioteche ai Comuni. Il Commissario di Governo Ettore Novelli provvedeva, prima della chiusura definitiva dei conventi, a sequestrare documenti, libri e suppellettili. Fu allora che nei volumi, conservati oggi nella biblioteca, fu apposta la scritta Commissario Governativo Ministero della Istruzione Pubblica del Regno d’Italia. Il tutto mediante un timbro metallico tondo e in sigla M.D.I.P.D.R.D.I. con, al centro, C.G.

Dai soppressi conventi di Santa Maria in Gradi, di Santa Maria del Paradiso, di Santa Maria della Quercia, della Trinità e dei Cappuccini passarono al Comune circa 30.000 volumi, preziosissimo materiale bibliografico che si unì a quello della Biblioteca dell’Accademia degli Ardenti. Il tutto fu lasciato nel più completo abbandono per più di dieci anni e molti volumi di valore sparirono per essere venduti ad antiquari, spesso stranieri. Il British Museum di Londra possiede, forse in esemplare unico, la prima opera a stampa che si conosca su 5. Rosa, un libretto senza autore e senza tipografo impresso intorno al 1520. Il volume riporta, nell’ultima pagina, la data di ingresso al British: il 1873! La Bibbia cosiddetta di San Tommaso (codice manoscritto membranaceo, con miniature, del XIII secolo: sicuramente il volume di maggior pregio conservato in biblioteca) fu trovata nascosta nella cantoria di Santa Maria in Gradi quando i muratori la distrussero per trasformare il convento in carcere. Evidentemente qualcuno l’aveva sottratta per poi rivenderla, ma si era dimenticato del posto dove l’aveva nascosta o non era più potuto tornare a riprendersela.

Finalmente nel 1880, per opera del conte Giovanni Pagliacci Sacchi, venne data una prima sistemazione a quello che rimaneva dei 30.000 volumi provenienti dalle soppresse corporazioni religiose. Nel 1884, morto il conte Sacchi, i libri furono affidati a don Domenico Ercoli e a don Domenico Magalli.

L’ 11 maggio 1887 fu nominato bibliotecario Cesare Pinzi, già ragioniere del Comune. Il bibliotecario cav. Pinzi (così si firmava nei documenti) raccolse, sistemò e valorizzò l’ingente patrimonio librario e pergamenaceo, collocato nel Palazzo del Podestà, sotto la Torre Comunale. Fu, indubbiamente, un grandissimo bibliotecario perché si trovò a lavorare in una situazione difficile e caotica, con libri e documenti disseminati dappertutto. Quando lasciò l’incarico nel gennaio 1912, “essendo non troppo buone le sue condizioni di salute” (come si legge nella deliberazione della Giunta Municipale), Viterbo possedeva una Biblioteca ed un Archivio degni di questo nome.

La prima preoccupazione di Cesare Pinzi fu quella di compilare due cataloghi: uno per i volumi già esistenti e l’altro per le nuove accessioni. Successivamente impiantò un catalogo alfabetico a schede mobili, proseguito e terminato dall’avv. Giuseppe Signorelli, a cui si deve la sistemazione definitiva del materiale archivistico e librario. Risale al Pinzi, e fu perfezionata dal Signorelli, la classificazione del materiale librario in sale (sul modello delle grandi biblioteche romane), laddove oltre al numero della Sala (I, 11, III, etc.) è indicato lo scaffale, il palchetto ed il numero di catena del volume all’interno del palchetto. Un modo preciso per indicare la posizione del libro nei depositi ma, inutile sottolinearlo, anche un assillo per i bibliotecari che, dopo Pinzi e Signorelli, hanno dovuto affrontare i vari spostamenti di sede. Cambiando edificio, infatti, non era più possibile far coincidere sale, scaffali e palchetti. Cesare Pinzi ebbe anche il merito di opporsi sempre al trasferimento dei documenti dell’archivio storico di Viterbo all’archivio di Stato di Roma. Nel 1912, alla fine del mandato del Pinzi, la biblioteca fu trasferita nel palazzo d’angolo fra piazza del Comune e via Cavour, già sede delle carceri. A Cesare Pinzi, collocato a riposo per motivi di salute il 12 gennaio 1912 (morirà cinque anni più tardi), successe l’avv. Giuseppe Signorelli, nominato all’unanimità dal Consiglio Comunale, l’11 aprile 1912, Bibliotecario e Conservatore del Museo.

Pinzi e Signorelli furono i primi di una stirpe di validissimi bibliotecari: la Biblioteca fu l’unica loro grande passione. Non si comprenderebbe, altrimenti, come potessero rimanervi, senza stancarsi, anche dodici ore al giorno. Non si capirebbe l’affetto e l’amorevole assistenza che riservarono, una volta in pensione, ai loro successori (Pinzi nei confronti di Signorelli, Signorelli verso Gargana, e così via fino a Carosi nei miei confronti). Tra Pinzi e Signorelli, nel rapporto con i lettori, il più amabile fu sicuramente l’avvocato, il più scorbutico il ragioniere. Entrambi, ed i loro successori, furono sempre e comunque una miniera d’informazioni per tutti. L’avvocato Giuseppe Signorelli, in pensione per limiti d’età nel 1933, si spense il 25 dicembre 1944, molto probabilmente di “crepacuore”, dopo che la Sua Biblioteca era stata distrutta nel bombardamento del maggio precedente.

La nomina del nuovo bibliotecario, il dr. Augusto Gargana, coincideva con l’ennesimo trasferimento da piazza del Comune al settecentesco Palazzo Pocci, nell’attuale via Matteotti. Nel novembre 1938 fu aggiunto ufficialmente il titolo “degli Ardenti” alla denominazione della Biblioteca Comunale. Negli anni Trenta fu rinnovato lo schedario utilizzando le nuove schede modello Staderini (ancor oggi consultabile), creata la Sala periodici, riorganizzato il prestito a domicilio e quello interbibliotecario, aperta una seconda sala di lettura riservata agli studiosi per la consultazione dei manoscritti e dei rari.

Tutto questo intenso lavorio subì un trauma tremendo il mattino del 26 maggio 1944. Erano da poco passate le 9 quando risuonò l’allarme aereo: il personale in servizio e i pochi lettori trovarono rifugio nel ricovero predisposto nella vicina Chiesa di San Francesco. Due formazioni di quadrimotori “Liberator” angloamericani sganciarono a tappeto un micidiale carico di bombe. Furono cinque minuti d’inferno: una densa colonna di fumo e polvere s’innalzò al cielo, oscurando la luce del giorno. Lo spettacolo che si presentò, una volta dissoltosi il polverone, fu apocalittico: Palazzo Pocci, sede della biblioteca, completamente sventrato, rimanevano soltanto le mura perimetrali con gli scaffali a parete ed i libri penzoloni. I danni che la Biblioteca subì furono ingenti: a quelli causati dal bombardamento (i primi ed i più gravi) si dovettero aggiungere quelli procurati dalla pioggia, dalla neve, dai furti e le inevitabili perdite dovute alle operazioni di recupero e di trasferimento. Quando la Biblioteca riaprì, nel 1955, nei locali di Palazzo Santoro, il patrimonio librario era sceso da 48.266 volumi a 37.650. Fortunatamente il materiale raro e di pregio nonché il ricchissimo archivio storico diplomatico non ebbero a subire danni, in quanto trasferiti all’inizio del conflitto presso la Biblioteca Vaticana e l’Archivio di Stato di Roma. Meraviglia il fatto che nessun fotografo si sentì in dovere di documentare questo scenario drammatico: non possediamo alcuna foto che documenti la biblioteca distrutta. Il disastro avvenne nel disinteresse generale: i problemi erano talmente tanti, per tutto e per tutti, che per la cultura non c’era spazio!

Paradossalmente il Consorzio Biblioteche è “figlio” di quel bombardamento. Se la Biblioteca Comunale non fosse saltata in aria, quasi sicuramente ancor oggi l’Ardenti sarebbe l’unica biblioteca della città di Viterbo.

Nell’agosto 1944, subito dopo il passaggio delle truppe alleate a Viterbo, la dr.ssa Laura Dentini successe al dr. Gargana. La Dentini, per tutti da quel giorno e fino al suo pensionamento la bibliotecaria sig.na Laura, si rimboccò le maniche e lentamente mise mano alla ricostruzione. Enormi furono i problemi che giornalmente dovette affrontare, e tutti noi che abbiamo lavorato successivamente in biblioteca non saremo mai sufficientemente grati alla dr.ssa Dentini per la Sua abnegazione, la Sua dedizione, il Suo spirito di sacrificio. Stava al lavoro, tutti i giorni, dalle 8 della mattina alle 8 della sera: per pranzo si faceva portare dal bar del Teatro dell’Unione due toast ed una premuta (spremuta era considerato dalla dottoressa un termine banale) d’arancio. Abitava a due passi dalla Biblioteca, in via Emilio Bianchi. L’ho conosciuta quando già aveva i capelli bianchi ed era prossima alla pensione. Alta, magra, sempre vestita di nero. Per la signorina Dentini la Biblioteca è stata il solo grande amore della Sua vita. L’unica donna, fra tanti bibliotecari uomini che si sono avvicendati prima e dopo di Lei, costretta ad affrontare il periodo più buio. E’ morta nel maggio 1989; a Viterbo non c’è una via, una targa, un busto che la ricordi.

I volumi recuperati dal bombardamento furono dapprima accatastati nel pianoterra del portico comunale, in piazza del Comune, poi trasferiti nel giugno 1945 nei sotterranei della Banca d’Italia in via Marconi, nel maggio 1948 nella palestra della ex GiI in via del Meone e, infine, nel febbraio 1955, nella provvisoria sede di Palazzo Santoro in piazza Verdi.

Nel settembre 1953, approfittando della circostanza che l’amministrazione democristiana del Comune di Viterbo non aveva ancora provveduto, a quasi dieci anni dalla fine del conflitto mondiale, a riedificare Palazzo Pocci, l’amministrazione di sinistra della Provincia di Viterbo, utilizzando un fondo giuridico donato dal notaio Anselmo Anselmi, aprì una propria biblioteca pubblica. Erano gli anni, per intendersi, di Don Camillo e Peppone, e non passava giorno senza che le due amministrazioni non si facessero reciproci dispetti. Il Comune di Viterbo, piccato per la politica culturale degli odiati avversari, si affrettò a riaprire la Biblioteca degli Ardenti a Palazzo Santoro. La mossa politica della Provincia fu il classico scossone che in pochi mesi convinse il Comune a vincere una serie di pastoie burocratiche altrimenti insuperate in dieci anni.

La Provincia nominò responsabile della sua biblioteca l’allora Segretario del Liceo Scientifico: il dr. Attilio Carosi. L’uomo giusto al posto giusto, o, secondo come si vuol leggere questa storia, l’uomo sbagliato al posto sbagliato. Carosi, infatti, trasformò in pochissimo tempo quello che era un dispetto politico in una moderna ed efficiente biblioteca: una bomboniera biblioteconomica con dieci anni di anticipo sui tempi. Chi scrive queste brevi note ha avuto la fortuna di frequentare l’Anselmi sul finire degli anni Sessanta: nonostante che da più di venticinque anni viva nel mondo bibliotecario, ha un ricordo dolcissimo di quella biblioteca di via Saffi, nell’ex chiesa di Santa Croce dei Mercanti. Parva sed apta, era aperta tutti i giorni, sabato compreso, dalle 9 alle 20. Altri tempi e, soprattutto, altri contratti nazionali.

Quando, finita la ripicca, arrivò il momento di chiudere l’Anselmi, non fu possibile sospenderne l’attività: si sarebbe rischiata una sommossa degli affezionati lettori e, oggettivamente, sarebbe stato un errore. Non si elimina una biblioteca che funziona. E così, dopo un decennio di buio totale, la città di Viterbo si svegliò, a metà degli anni Cinquanta, con due biblioteche: l’Ardenti gestita dal Comune e l’Anselmi gestita dalla Provincia. Un contesto assurdo per una città capoluogo di provincia con meno di 40.000 abitanti che non era nemmeno sede di una facoltà universitaria (l’Università della Tuscia nasce alla fine degli anni Ottanta). La situazione rimase congelata per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta. Soltanto agli inizi degli anni Settanta, Comune e Provincia si accordarono per unificare le due biblioteche. Nasce così, nel febbraio 1973, la Biblioteca Consorziale e perde la sua identità la Biblioteca Comunale degli Ardenti.

La Biblioteca tornò a rivivere, brevemente e solo sulla carta, nel 1994: nel mese di agosto Comune e Provincia decisero di sciogliere il Consorzio Biblioteche. L’Ardenti diventava di nuovo l’unica biblioteca cittadina, l’Anselmi si trasformava in Organismo Bibliotecario Provinciale con il compito di coordinare le biblioteche dei comuni della provincia. La Commissione di Liquidazione, nominata per gestire la trasformazione della struttura consorziale, si trovò di fronte a problemi insormontabili, legati soprattutto ai libri e al personale. Comune e Provincia volevano prendersi i pezzi migliori del Consorzio e lasciare all’altra amministrazione gli scarti. Dopo un anno e mezzo di dannose dispute, spaccature all’interno delle varie coalizioni politiche e degli stessi partiti, fu deciso che la soluzione migliore era quella di revocare lo scioglimento. L’ultima beffa per l’Ardenti: neppure per un giorno le fu possibile rivivere i fasti di prima della guerra, quando era l’unica biblioteca cittadina.

Alla data del 28 febbraio 1973 (quando cioè nasce la Biblioteca Consorziale) l’Ardenti possedeva 63.388 volumi, 6.283 opuscoli, 181 incunaboli, 2051 manoscritti, 4145 pergamene sciolte.

Il fondo di maggior valore della biblioteca è sicuramente l’archivio storico del Comune di Viterbo, complesso documentario ricchissimo nonostante le distruzioni e le dispersioni subite nel corso dei secoli. Ed è un complesso documentario ancor oggi quasi totalmente sconosciuto alla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori. È il destino dei fondi archivistici posseduti dalle biblioteche: gli archivisti li ignorano, i bibliotecari li snobbano. L’oblio dei secoli completa l’opera. Il diplomatico dell’Archivio Storico comprende esattamente 4.148 pergamene (la Biblioteca Consorziale ha recuperato, in questi anni, tre pergamene) eterogenee per forma e contenuto. Di tutto questo materiale esiste un catalogo, cosiddetto Catalogo delle Pergamene Sciolte. Il lavoro di raccolta e catalogazione fu eseguito dalla Commissione Deputata dal Municipio al riordino dell’Archivio Storico Comunale e composta da Carlo Fretz (presidente), Francesco Cristofori (segretario), Don Simone Medichini, Bonifacio Falcioni, Lorenzo Tedeschi, Giuseppe Signorelli, Don Giacomo Bevilacqua, Don Vincenzo Mascini (membri). La Commissione terminò i suoi lavori nel dicembre 1886: da allora in poi, salvo piccole aggiunte o modifiche, il Catalogo delle Pergamene non ha subito sostanziali cambiamenti. Quello che i lettori consultano ancora oggi è l’originale di 120 anni fa.

Per quanto riguarda gli altri fondi archivistici, lo strumento di consultazione è il cosiddetto Catalogo Inventano dei Manoscritti compilato dall’avvocato Giuseppe Signorelli e proseguito dai suoi successori. Questo catalogo, redatto in forma di topografico, si apre con lo Statuto di Viterbo del 1251 (Sala II, G, I, 1). I documenti sono elencati senza distinzione tra fondi archivistici e fondi librari: troviamo pertanto nell’archivio – per definizione Sala II, secondo la vecchia catalogazione prima ricordata – libri manoscritti accanto a documenti. Tra i pezzi pregiati tutt’ora inediti ricordiamo:

Lo Statuto del 1469, codice membranaceo di 129 fogli.
I volumi delle Riformagioni, o Riformanze, o RIforme: 172 registri che coprono, con alcune discontinuità, gli anni dal 1403 al 1870.
I cinque tomi della Margarita: in origine erano 7, ma il quinto ed il sesto sono andati dispersi. Si tratta di cinque registri membranacei, molto ben conservati, dove sono trascritti gli atti pubblici e privati che interessavano il Comune di Viterbo a partire dal secolo XIII.
La serie piuttosto ricca degli Statuti delle Arti e delle Corporazioni.
La collezione dei Bandi Comunali, la cui raccolta inizia alla fine del Quattrocento con i primi bandi a stampa.
Per i libri (manoscritti, incunaboli, cinquecentine, seicentine, etc) preferiamo rinviare il lettore interessato alle pubblicazioni specialistiche, per non annoiare ulteriormente (con elenchi di autori, titoli, luoghi di stampa ed anni di pubblicazione) chi ci ha seguito sin qui. D’altronde, una Biblioteca che compirà tra poco duecento anni non può non avere abbondanza di materiale. Per tutti e per tutti i gusti.

 

Giovanni Battista Sguario

già Direttore Consorzio delle Biblioteche

 

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