La Biblioteca Provinciale Anselmo Anselmi
Il 12 luglio 1940 così il notaio Anselmo Anselmi scriveva, al Preside dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo: “…Già conoscete che ho raccolto, nel corso della mia vita, una ricca collezione di libri d’ogni genere, che mi dorrebbe andassero dispersi alla mia morte: si tratta principalmente di opere giuridiche, storiche, amministrative e di scienze sociali, ma ve ne sono altre ancora in quasi tutti i rami del sapere.
Mi permetto di offrirle in dono alla Provincia, da voi con tanto amore governata, chiedendo solo l’impegno che questi libri siano conservati e, possibilmente, resi accessibili agli studiosi, specie ai giovani.
Se l’offerta, come mi lusingo, verrà accettata, mi dichiaro pronto sin da ora a fare quanto occorre perché il dono abbia il carattere dell’irrevocabilità, e possa così costituire il nucleo intorno al quale altre collezioni possano in avvenire aggiungersi, confacenti al decoro della nostra Città”.
Le autorità amministrative e gli uomini di cultura viterbesi sapevano da tempo l’intendimento del notaio, scapolo e senza eredi diretti, di donare la sua cospicua biblioteca a quella comunale, ma negli ultimi tempi Anselmi era entrato in aspro conflitto con il podestà e l’Istituto delle case popolari perché dall’oggi al domani gli avevano espropriato il bellissimo vignolo di non so quanti ettari, ricco di una casa-torre medievale, di olivi ultrasecolari e di vitigni di pregio, situato dove attualmente sorge il grande quartiere del Pilastro.
La demolizione di numerose case per l’apertura di via Marconi e la sistemazione della zona adiacente, la costruzione dell’aeroporto militare e l’arrivo di centinaia di militari, molti con famiglia, avevano costretto il Comune a promuovere l’erezione di nuovi alloggi. L’istituto per le case popolari della provincia di Viterbo, creato nell’agosto 1937, nella seduta dell’il aprile 1938 aveva deciso di espropriare i terreni lungo la strada Teverina, la maggior parte appartenenti a notabili della Città, tra cui gli stretti parenti del vicepresidente dell’Istituto stesso, tutt’altro che disposti a vendere. Prendendo a pretesto che le dette aree presentano “gravi difficoltà per la costruzione della fogna, dando luogo a forte dispendio di denaro”, il 10 giugno successivo si annulla la deliberazione e si sceglie unicamente il terreno del notaio Anselmi, senza esaminare altre soluzioni. Le mura castellane saranno abbattute e via Giuseppe Signorelli collegherà con il centro il nuovo quartiere.
Anselmi chiama in giudizio l’Istituto, avvalendosi dell’opera di superavvocati del Foro di Roma, sicuramente non influenzabili dall’ambiente viterbese, ma l’intervento diretto del Governo, tramite il prefetto Vendittelli, accelera al massimo la pratica, tanto che solo nove mesi dopo, nel marzo 1939, l’ufficiale giudiziario prende possesso del vignolo. L’appalto per la costruzione delle case era stato assegnato addirittura un mese prima!
Anselmi, discendente da famiglia di notai, galantuomo integro, valente professionista nell’arte del notariato, tanto da essere spesso chiamato da grandi imprese del nord per stipulare contratti e transazioni, non poteva sottostare a questo sopruso e, ormai in pensione, si ritirò ancora più in se stesso e scelse la nuova destinazione per i suoi libri, pur sapendo che la legge non avrebbe permesso l’apertura di una seconda biblioteca pubblica in un capoluogo di provincia e che la relativa spesa per la sua manutenzione non poteva essera assunta dall’Amministrazione Provinciale. La sua biblioteca, specializzata in scienze giuridiche, poteva però essere accettata come biblioteca privata dell’ente, accessibile agli studiosi.
Nemmeno una settimana dopo la ricezione della nobile lettera, il Preside della Provincia ringrazia calorosamente per la munifica donazione e preannuncia l’atto formale di accettazione di massima, con visto della Prefettura. È questa la deliberazione n. 53/252 del 5 settembre successivo, con la quale si specifica che i libri saranno depositati nella restaurata ex chiesa di S. Croce in via Saffi 66, in attesa di essere inventariati e classificati, Con atto n. 84 del 16 febbraio 1942 la Provincia conferma l’accettazione del lascito e delibera la spesa per la costruzione di ballatoi in legno alle pareti per assicurare la necessaria capienza per i circa 18000 volumi della biblioteca che porterà il nome del benefattore. Nel frattempo, durante il 1941, erano stati trasportati nella nuova sede circa 5000 pezzi. Il 23 aprile successivo il Prefetto emette il decreto di accettazione. Sembra quindi concluso il cosiddetto iter amministrativo e che non rimanesse altro che la sistemazione materiale delle collezioni, invece…
Le carte tacciono sul periodo aprile 1942 – ottobre 1943, ma ricordi personali acquisiti nel tempo ci dicono che il notaio Anselmi, quasi ottantenne, si era nel frattempo ammalato e non aveva potuto più seguire con la dovuta e consueta sua attenzione lo svolgersi delle consegne e che il personale della Provincia scarseggiava perché molti erano stati richiamati alle armi ed i rimanenti erano costretti ad affrontare ben più gravi ed assillanti compiti, che la guerra, giunta ormai alle porte delle nostre regioni, richiedeva.
Si arriva al nefasto 8 settembre 1943: Anselmo Anselmi, che da molti anni, essendo celibe, aveva fatto sodalizio con la famiglia Petri ed aveva anche adottato la figlia Vittoria dandole il cognome e facendola erede del patrimonio, si era trasferito a Bagnoregio da Viterbo, per evitare i possibili bombardamenti. E colà il 5 ottobre egli muore, lasciando giuridicamente a metà la sua donazione.
Naturalmente gli eredi rivendicano la proprietà di tutto il patrimonio librario e dopo lunghe discussioni, che non risultano messe su carta nell’archivio della Provincia, si chiude bonariamente la questione: ciascuno rispetterà lo stato di fatto. Circa 5.000 volumi rimangono all’Amministrazione Provinciale, i rimanenti 13.000 agli eredi.
Si tenga ben presente, però, che Anselmi, da buon bibliofilo, aveva cominciato a consegnare (e depositare nell’ex chiesa dei Mercanti) i libri di minor pregio, tanto che Augusto Egidi, buon amico del notaio, ricordava che questi a suo tempo gli aveva fatto vedere una dozzina di incunaboli, due o tre “libri d’autore” e alcuni manoscritti, senza contare altre rare edizioni, specialmente giuridiche, stampate nei secoli XVI-XVII.
Fortunatamente le incursioni aeree risparmiano la robusta millenaria chiesa, e i libri fanno buona compagnia a carrettini e scope dei cantonieri, a vecchi mobili d’ufficio “dismessi” ed all’archivio di deposito della Provincia. Nell’aprile 1945 Augusto Egidi, nelle sue funzioni di v. segretario generale dell’Ente e ancor più come appassionato ed esperto cultore di storia e tradizioni viterbesi, propone alla Deputazione amministrativa di trasferire i libri nei locali del palazzo ex G.I.L. in via Tommaso Carletti. I libri vengono sì trasferiti, ma ammassati come volgare materiale di scarsa importanza nei corridoi e nelle soffitte dell’Istituto Tecnico Paolo Savi a porta Romana e S. Croce sarà data in grazioso prestito per un certo tempo alla Curia Vescovile per tenervi corsi di teologia e di storia della Chiesa.
10 giugno 1951 è eletta la prima amministrazione della Provincia e, contrariamente alle previsioni, la dabbenaggine di alcuni segretari di partito del centrodestra, che presentano candidati di scarso talento politico, consegna l’amministrazione ai socialcomunisti. È nominato presidente l’avv. Leto Morvidi, vecchio antifascista, esperto di legge e dotto cultore di scienze umanistiche, il quale intuisce subito l’opportunità di aprire una biblioteca in Viterbo, anche se con opere superate per l’età e di difficile consultazione, per due importanti motivi, ambedue politici: primo, dimostrare ai viterbesi del capoluogo e della provincia che un’amministrazione socialcomunista sarebbe stata capace in breve tempo e con successo di promuovere la cultura, specialmente in favore dei giovani; secondo, denunciare ancora una volta l’indifferenza culturale e l’inettitudine degli amministratori democristiani e delle gerarchie del Comune a risolvere il problema della Biblioteca degli Ardenti, semidistrutta dalle incursioni aeree del maggio 1944 e ancora chiusa al pubblico nel 1953, malgrado i solleciti e le insistenze degli studenti medi ed universitari del Capoluogo e degli studiosi italiani e stranieri. Il 5 settembre 1953, giorno di inaugurazione della Biblioteca Anselmi, serve infatti di sprone all’Amministrazione comunale per accelerare al massimo la riorganizzazione della Ardenti e riaprirla al pubblico il 10 febbraio 1955, carente di alcuni servizi.
Altre iniziative arricchiscono la vita della Biblioteca Anselmi ed attraggono sempre più lettori, dai cicli settimanali di conferenze su argomenti vari tenute da studiosi di fama nazionale, all’organizzazione di mostre di pittura e l’istituzione di borse di studio per gli alunni delle scuole medie. L’ex chiesa di S.Croce rinnovata nel pavimento e nelle tinteggiature, dotata di un ottimo sistema di riscaldamento, richiama subito numerosi studenti per i quali si acquistano opere che bene integrano i testi scolastici. I principali quotidiani nazionali, insieme con molte riviste di varia cultura, attraggono sempre più la presenza dei pensionati usi passare il tempo nella vicina piazza delle Erbe. La centralità del posto, la collocazione a pianoterra, le otto ore giornaliere di apertura compreso il sabato, ospitano circa mille lettori nell’ultimo trimestre 1953, lettori che nell’anno successivo saranno oltre diecimila.
La Direzione cerca nello stesso tempo di recuperare, anche a pagamento, i circa 13000 volumi che all’atto della morte del Notaio erano rimasti nei magazzini degli eredi, ma si riuscì soltanto a sapere che da alcuni anni la raccolta era stata venduta alla libreria giuridica Ulpiano di Roma. Nel catalogo di questa del giugno 1950 erano state messe in vendita, tra l’altro, due copie secentesche dell’inedito statuto di Viterbo del 1649. Ragguardevole anche il manoscritto “Istruzioni teorico pratiche e formole e d’istromenti e legalità per uso dell’alfiere Agostino Tomassucci patrizio ortano”, scritte nel 1774. Affluirono presto alla nuova Biblioteca numerose donazioni (la più cospicua quella dello stesso avvocato Leto Morvidi, assommante ad oltre tremila opere), che non solo arricchirono il patrimonio librario, ma confermarono ai Viterbesi la stima che in poco tempo aveva saputo acquistarsi la nuova istituzione. Circa il 1960 fu depositata presso l’Anselmi la preziosa biblioteca del Seminario Vescovile.
Naturalmeate lo spazio divenne in breve tempo insufficiente a contenere lettori e libri, tanto che i primi non oltrepassarono mai, ogni
anno, le 25.000 presenze. Per i secondi si ottennero dalla Provincia locali di fortuna, fino a che non furono concessi i pianoterra del ricostruito palazzo Gentili. Qui fu posto il magazzino generale, insieme con la sala di lettura per ragazzi, intestata ad Augusto Egidi, aperta nell’autunno 1966. Non si tralasciava, inoltre, da parte della Direzione, di sollecitare altre soluzioni, quali il trasferimento della confinante tipografia Agnesotti, i cui locali erano dell’Amministrazione.
Nel frattempo si ottenne dalla Soprintendenza alle Biblioteche di Roma la completa ristrutturazione della sala di lettura, costruendo un elegante ballatoio metallico, che sosteneva altri scaffali, insieme con la fornitura di nuovi armadi. La Biblioteca inaugurata il 6 dicembre 1959 soddisfece così anche l’occhio del lettore, divenne una vera “bomboniera” o “vaso” di altri tempi.
Nel 1962, a cura del direttore Carosi, si stampa una corposa ed apprezzata Miscellanea di studi viterbesi”, ma un improvviso avveni-
mento viene a rompere l’idilliaca atmosfera dell’Anselmi. Il 6 febbraio 1971 un forte terremoto investe la città di Tuscania e leggere scosse colpiscono anche Viterbo. Un’antica, modesta, crepa, della volta della sala, chiusa con gesso, perde un pezzo della stuccatura e l’ingenuo dirigente si affretta a chiedere un controllo tecnico, consigliando inoltre che siano tolte le decine di quintali di carte dell’archivio “morto” della Questura affastellate nei due piani superiori. Risultato: i quintali dell’archivio rimarranno al loro posto, mentre si cercano subito nuovi ambienti per la biblioteca. Si veniva così incontro alla soluzione da anni occultamente proposta da alcuni amministratori, che nell’accogliente sala vedevano meglio mostre di pittura, conferenze e riunioni varie, con cui accontentare gli amici del momento.
L’Anselmi di via Saffi chiude i battenti il 7 settembre 1973 e li riapre il 14 aprile 1975 nei confortevoli locali piano terra del palazzo di via della Ferrovia 40, angolo via del Paradiso. Le sale di lettura, però, non ne troveranno giovamento perchè sono al difuori del centro storico. Si perderà completamente la classe dei pensionati. Chiusa nuovamente il 10 ottobre 1977, l’11 marzo 1978 si inaugura la nuova sede al secondo piano del palazzo Garbini al viale Trento, ove tuttora è collocata.
La nascita del Consorzio Biblioteche, con l’auspicata realizzazione di un’unica sede, e quindi di poter attuare un polo bibliotecario più funzionale e attivo, è stato in parte vanificato proprio per la mancata realizzazione di un’unica struttura che, comunque, ci si augura possa diventare quanto prima una realtà.
Attilio Carosi
già Direttore della Biblioteca Anselmi